
Come affrontare un colloquio di lavoro: il paradosso
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Prima di parlare di come affrontare un colloquio di lavoro dobbiamo soffermarci su un paradosso che sta a monte:
Vuoi veramente assumerti la responsabilità di lavorare?
Nella maggior parte dei casi, ahimé, osservo che la risposta è no.
Una parte del mio lavoro è sempre consistita nel selezionare nuove possibili risorse umane; negli ultimi mesi questa attività si è fatta particolarmente intensa, poiché sto delegando la gestione di diversi miei progetti e, contemporaneamente, insegnando a parecchie persone ad avviare un’attività imprenditoriale.
Mi duole ammettere che mi scontro sempre di più, ogni giorno, con l’immaturità della maggior parte delle persone. Non solo: i più sono immaturi e fermamente determinati a rimanerlo!
Prima pensavo si trattasse solo di coloro che passavano dal lavoro dipendente al lavoro autonomo; per questo avevo creato il percorso “Da Ape Operaia ad Ape Regina”. Nel tempo, invece, ho scoperto che è un problema culturale ben più ampio…
- Vuoi la pappa pronta tutti i giorni, così da non doverti preoccupare di niente e poterti limitare a fare ed eseguire?
- Critichi i tuoi leader, i team e le realtà con cui collabori, e molti dei tuoi colleghi?
- La sera, vuoi tornare a casa senza dover pensare più a niente e poterti rilassare?
- E, in tutto ciò, insinui anche che qualcuno o qualcosa dovrebbe garantirti ciò che ti serve per sopravvivere?
Se sei vittima di anche solo una di queste deviazioni spirituali e sociali, questo articolo può aiutarti: sei abituata all’irresponsabilità e devi prima crescere come persona, per poter funzionare a livello professionale.
Ingrediente n° 1 per affrontare un colloquio di lavoro: il mindset
Cosa è importante che tu pensi, nell’approcciarti a un colloquio di lavoro:
- Voglio questo lavoro; lui può arricchire me, sotto tanti punti di vista, e io posso arricchire molte persone facendolo.
- La cosa importante è entrare in connessione con la persona che mi valuterà, comprendere cosa cerca non solo tecnicamente ma anche umanamente e, se sono io la sua persona giusta, fare del mio meglio per comunicarglielo.
- Mi assumo l’impegno di fare tutto ciò che è in mio potere, ogni santo giorno, per far sviluppare al massimo e al meglio questo progetto; e sono onorata e grata di poterlo fare.
Questo è certamente un atteggiamento di base che tutti i selezionatori apprezzano. Però – e qui viene la parte difficile – devi pensare queste cose sinceramente. Non devi “sforzarti” di crederci.
Se ti accorgi di non essere all’altezza di questo mindset, ecco alcune domande utili per andare alla radice della tua demotivazione e immaturità, e iniziare a superarle:
- Dal momento che non voglio questo lavoro ma ne ho solo bisogno, come posso spostare la mia attenzione e ricerca su un’occupazione che soddisfi entrambi i requisiti contemporaneamente? Quali opportunità ho che, oltre a corrispondermi a livello di necessità e competenze, mi corrispondano anche nella motivazione e nel desiderio?
- In che modi concreti per me è importante che un lavoro mi arricchisca?
- In che modi concreti io posso arricchire gli altri e migliorare la loro vita, attraverso le mie competenze professionali?
- Come posso comportarmi in modo maturo e responsabile con la persona che mi valuterà, che evidentemente lo è più di me e può essermi solo d’esempio e d’aiuto?
- Da quali convinzioni e orientamenti nascono la mia demotivazione e incuria verso il lavoro? Come posso modificarli, per diventare una professionista migliore?
Affrontare un colloquio di lavoro anche con l’anima
Come vedi, da queste domande si capisce perché sopra ti parlo di “deviazioni spirituali e sociali”: approcciarsi al lavoro in modo così immaturo e irresponsabile, come ahimé in vero fa la maggior parte delle persone, è un serissimo problema – personale e sociale.
Da parte mia, sono felicissima della crisi che stiamo attraversando: tanti nodi stanno venendo sempre più al pettine e molti di coloro che anni fa avevano spazio e modo di lavorare in maniera parassitaria ed egoista, adesso non hanno più lavoro. Rimane sul pezzo solo chi lavora col giusto approccio, nel senso che fa del proprio meglio per crescere e far crescere, per migliorare e far migliorare.
Non sono affatto d’accordo col fatto di garantire a tutti ciò che serve per sopravvivere; credo che fare parte implichi il sapere – e volere – contribuire. Per quanto mi riguarda, chi non è interessato a farlo, o a farlo come serve, è bene che incontri un muro davanti. In questo modo, o si decide a maturare, o le conseguenze del proprio egoismo sono solo sue e non di tutti noi.
Una cosa giusta ho imparato dalla mia annosa convivenza coi sensi di colpa: ogni cosa che ci accade è veramente colpa nostra. Facciamo bene ad assumercene la responsabilità, a farci almeno un esame di coscienza al giorno e a ricordarci che possiamo cambiare atteggiamento e comportamento ogni volta che vogliamo. Anche rispetto al lavoro.
Ilaria Cusano
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