
Cambiare vita insieme a Diana – Blog Novel 10ª puntata
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Diana era tra le donne più giovani, aveva poco meno di trent’anni.
bile artigiana da sempre, appassionata e fiera di esserlo, da due anni aveva avuto assieme al suo compagno un bambino. Dal punto di vista affettivo se ne era incaricata pienamente, facendosi carico delle economie domestiche e demandando il procacciamento di denaro al padre. Padre che, tra l’altro, da quel che lei mi raccontava, non ne era particolarmente felice.
Coppie, maternità e paternità
Apro una parentesi a proposito di maternità e paternità.
Ancora oggi scopro che è tanto diffuso non solo il condizionamento culturale secondo cui a un certo punto bisogna procreare. Quasi fosse un imperativo morale, quasi fossimo pochi sul pianeta Terra, quasi fosse un affronto intollerabile verso i genitori, i nonni e la comunità il fatto che una persona, superati i trent’anni, non abbia dei figli.
Se ne parla poco, sta diventando una sorta di tabù, ma questa mentalità ancora esiste. Reduce da un passato che ce ne manda l’eco con nostalgica disperazione, perché in fondo lo sappiamo tutti che un figlio è un’eventualità orribile se non lo si desidera con tutti se stessi. Orribile non solo per i genitori, ma anche per lui stesso e la comunità che si trova ad accoglierlo. Lo sappiamo che non siamo affatto pochi sul pianeta Terra (anzi, non siamo mai stati così tanti!), come sappiamo che spesso fare un figlio è un modo osceno di creare un ponte con il partner, di deresponsabilizzarsi demandando il compito della propria realizzazione lavorativa a questo povero disgraziato che viene al mondo già pesante come un masso, e di compiacere qualcuno mettendo a disposizione corpo, tempo ed energie per un progetto di vita che non è affatto il proprio.
Ma questo, per fortuna, non era assolutamente il caso di Diana.
Lei aveva deciso di diventare madre solo ed esclusivamente per amore. Perché col suo compagno era immersa in un sentimento di gioia, pienezza e gratitudine talmente grande che la scelta più naturale, la più ovvia e benedetta era proprio donare una vita.
Ancora il posto delle donne?
Ciò che riguardava anche Diana, invece, così come tantissime altre donne, era la decisione, in questa circostanza, di assumersi determinati compiti e non altri. E di far sì che il padre si occupasse di una serie di lavori anche se lui non aveva nessun piacere a farlo.
Spesso ho sentito dire dalle donne che tuttora il lavoro delle casalinghe non è debitamente riconosciuto.
Ma perché mai dovrebbe esserlo, se le donne tutti i giorni si offrono di farlo gratis, o comunque senza comunicare chiaramente che vogliono qualcosa in cambio, e cosa questo qualcosa sia?
Perché mai un uomo dovrebbe accettare passivamente il fatto che alle economie domestiche pensa lei? E se invece volesse occuparsene lui?
Perché una donna dovrebbe privarsi della gratificazione di realizzarsi nella collettività attraverso il lavoro, il volontariato o la vita sociale, e perché l’uomo dovrebbe rinunciare agli affetti, al tempo coi figli e al piacere di stare con gli amici, in virtù di questo immaginario dovere di portare i soldi a casa?
Solo perché siamo abituati così? Perché lo abbiamo visto fare da parenti, amici e film?
A Maria sembrava assurdo.
Convenzioni assurde tra le coppie
Le sembrava assurdo che delle coppie non si sedessero a parlare di chi vuol fare cosa e in che misura. E che non si decidesse di comune accordo come gestire le economie e le responsabilità.
A Maria risultava folle buttarsi a capofitto in un compito a cui si è apparentemente predestinati, senza chiedersi se lo si vuole fare e senza domandare al partner cosa ne pensasse. Trovava obsoleto e al limite tenero (perché è uno scimmiottare i propri genitori e i nonni) il falso eroismo con cui la donna si carica della casa e dei figli, e l’uomo dello stipendio e della realizzazione lavorativa.
In tutti i casi, al di là dell’opinione di Maria, la società è piena di esempi di situazioni in cui questa organizzazione non funziona. E non solo perché non dà i frutti materiali che dava in passato – unica ragione per la quale la si portava avanti. Ma soprattutto perché non dona la serenità.
Non rende onore agli esseri umani e alle loro storie; non dà spazio ai loro talenti, vocazioni e sogni. È una via triste, deprimente, superata e anche inefficace. Non ha nessun senso sceglierla stabilmente. Mentre può averne il farne esperienza per un periodo di tempo limitato. In questo caso si possono imparare moltissime cose.
Le casalinghe consapevoli e realizzate

Diana, come la maggior parte delle donne che si ritrovano in questa condizione, ci si era ritrovata, per l’appunto. Le era venuto automatico fare così, ed è proprio questo che crea problemi all’identità e all’auto-realizzazione.
Funziona il decidere di fare la madre casalinga perché ci si sente soddisfatte, perché è un ruolo attraverso cui si esprime il meglio di sé o perché tutti i propri sogni e le visioni più amene ci mostrano questa via.
In questo caso tale scelta appaga, nutre e fa bene, è segno di autonomia di pensiero, bellezza e di un alto livello di autostima.
Farlo perché tutti l’hanno fatto, in modo istintivo e senza chiedersi perché, può rivelarsi controproducente non solo per se stesse, ma anche per il proprio partner e per i figli. [inlinetweet prefix=”” tweeter=”via @IlariaCusano” suffix=”null”]Le persone che ci amano vogliono che noi siamo felici più di ogni altra cosa[/inlinetweet] e, se questo implica che siamo impegnate, che cuciniamo poco o male e che abbiamo pochi soldi, loro lo accettano. Perché ciò che fa piacere a loro è vedere che noi stiamo bene, percepire che siamo realizzate, condividere tale gioia ed entusiasmo.
Partner, figli, famiglia
Un partner e un figlio non desiderano solo una donna sempre presente e disponibile per le loro necessità, ma una donna che lo è perché è felice, appagata e piena, perché solo così la sua presenza e il nutrimento che essa dona fanno del bene e sono dolci.
Diana si era scocciata: della casa, del suocero, del compagno che gli ripeteva che lei non contribuiva alle economie, e più di tutto le era venuto a noia il suo stesso atteggiamento, che la spingeva a mettere da parte le sue amicizie, le passioni e gli obiettivi per una ragione che di fatto non esisteva. Questa sua insofferenza è stata provvidenziale, perché vederla e scoprirla nella sua vera natura più brillante e radiosa che mai, alla fine del percorso, fu un dono senza prezzo; la commozione e la fierezza che Maria provò al cospetto di Diana, durante l’ultimo seminario de “Il valore del femminile”, sono indicibili.
Ilaria Cusano
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